La libertà in tre parole
In attesa di conoscere il programma del Governo che si insedierà dopo le elezioni del 9 giugno prossimo, leggendo i vari programmi dei partiti in lizza, emerge chiaramente come, all’interno di alcuni di essi, nella parte dedicata alle proposte per il nostro sistema socio-sanitario, si percepisca un atteggiamento refrattario verso l’assistenza personale autogestita a supporto della vita indipendente delle persone con disabilità. Sebbene si sia scritto molto al riguardo, sembra che queste tre parole – "assistenza personale autogestita" – non siano ben accolte da alcuni. Non a caso, ciò si nota proprio nei programmi dei partiti che hanno votato contro l’Istanza d’Arengo da noi presentata per affermare il diritto alla vita indipendente.
A beneficio di chi non lo sapesse, e anche di chi forse fa finta di non averlo compreso, tale sostegno non solo non va a sostituire altri tipi di sostegno, ma come numerosi studi e esperienze pratiche dimostrano, è economicamente vantaggioso, genera occupazione e, soprattutto, migliora significativamente la qualità della vita delle persone con disabilità che decidono di usufruirne. Le ragioni della vita indipendente, sancite dall'Articolo 19 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, si fondano principalmente sul diritto delle persone con disabilità ad autodeterminarsi. Ciò significa garantire a ognuno il miglior grado di controllo della propria vita, affinché possa fare le proprie scelte e vivere la vita che desidera. Va da sé che in tal senso, l’assistenza personale autogestita è fondamentale, perché non costringe a adattarsi a un sistema rigido e impersonale; al contrario, si può modellare il supporto a seconda delle esigenze e preferenze di ciascuno.
E’ di questi giorni la notizia della pubblicazione in Italia, del Decreto Legislativo in materia di disabilità, e che sarà vigente dal 30 giugno prossimo, in cui al punto n.12 si stabilisce “l’oggetto del contendere” di questo nostro comunicato.
A San Marino è giunto il momento di superare responsabilmente l’approccio “medico" della disabilità, che la considera come una patologia individuale da curare o gestire, focalizzandosi sui limiti fisici o mentali, e proiettarsi finalmente in favore di quello “sociale” basato sui diritti umani e sull'eliminazione delle barriere culturali e fisiche che ostacolano la partecipazione delle persone con disabilità alla vita quotidiana.
Grazie alla Convenzione sopracitata, sempre più persone con disabilità nel mondo hanno acquisito una maggiore consapevolezza dei loro diritti e del loro potenziale. Hanno imparato a vedere le loro differenze non come una condanna, ma come una parte della loro identità. Rifiutano l'idea che sia la loro condizione a definirle. Non vogliono più essere oggetto di pietà o di decisioni paternalistiche, ma vogliono essere ascoltate, rispettate e coinvolte nei processi decisionali che riguardano le loro vite, senza paura e con orgoglio (a proposito di orgoglio presto annunceremo una nuova campagna di sensibilizzazione). A dispetto di tutti i drammi che esse vivono quotidianamente e di cui sono registe, protagoniste e scenografe, la disabilità è l’ultimo dei loro problemi.
Questa richiesta di autodeterminazione, in conclusione, è un segnale chiaro che le persone con disabilità vogliono essere protagoniste del proprio destino. La società deve rispondere a questa chiamata, abbattendo le barriere e creando un ambiente inclusivo per tutti, ed è essenziale che anche i partiti politici riconoscano l'importanza dell'assistenza personale autogestita e la considerino come una priorità.
Il diritto alla vita indipendente non è negoziabile; è un diritto umano fondamentale che deve essere rispettato e sostenuto. Ignorare o opporsi a questo principio significa perpetuare un sistema di dipendenza e isolamento, contrario ai valori di dignità e uguaglianza.
Photo Credits Judita Mikalkevičė (Unsplash)